Domenica 21 febbraio, sole e caldo, assenza di vento compensata dal solito, forte rischio di valanghe:
un rischio che trattiene me dalle ambite vette, gratificando invece i giornalisti televisivi con nuove emergenze mediatiche, nuove crociate da inalberare e dimenticare al prossimo scandalo, giusto per concedere qualche saporito discorso da Bar Sport all’uomo della strada. Panem et circenses.
I miei amici sono venuti fin quassù dalla lontana Bergamo, tuttavia, e spero di non deluderli: il coniglio estratto dal cappello delle escursioni consiste in una delle grandi classiche invernali dell’alta Ayas, vale a dire il percorso del Ru Cortot, Cortaud o Cortod.
Scopro con sorpresa che nuove paline rosse, ritraenti omini stilizzati con grandi ed inconfondibili ciaspole ai piedi; si sale al Pian delle Dame, ai piedi del possente Zerbion – la mia prima grande vetta, nel glorioso agosto del 1991 – ed una seconda palina indica ottimista il nord, verso l’alpe Métsan ancora invisibile. Dopodiché, ognun per sé e Dio per tutti.
Migliaia di anni or sono il possente ghiacciaio dell’Evançon, correndo verso Verrès per confluire nell’infinitamente maggiore ghiacciaio Balteo, formò questa bella conca: bastò che la sponda occidentale di Ayas fosse composta dai deboli calcescisti, incapaci di reggere alla millenaria, disumana pressione, perché nascessero Lignod ed Antagnod, il Barmasc, il pianoro di Métsan.
La giornata è stupenda, il cielo terso, i grandi Quattromila occhieggiano indifferenti e bellissimi, appena baciati dagli spiriti dell’aria di cui parlava Kurt Diemberger.
Amo profondamente questa terra, il suo sole, la sua neve, i suoi larici, cembri ed abeti; in ogni traccia ed in ogni solco, in ogni passo ed in ogni colpo d’occhio rivivo momenti lontani e pregusto giornate future.
Fa parte di me.
Il canale irriguo ai nostri piedi, oggi colmo di neve, è stato creato in un’epoca dura e cruenta; il turismo e le ciaspolate dilettevoli erano là da venire, così come i diritti umani, l’igiene e la medicina moderna, il lume della ragione e qualche appunto sull’uguaglianza tra uomo e donna, e molte altre cose ancora.
Tuttavia quegli uomini e quelle donne avevano carattere e tempra, coraggio da vendere; chiesero così al loro signore, il potente Ibleto di Challant, il permesso di costruire quest’opera che captasse le acque glaciali di Ventina portandole fino alla lontana ed arida Saint Vincent. Ibleto accordò il suo consenso il 14 luglio 1393 ed il 13 maggio del 1433 i lavori ebbero inizio; da molti anni il Ru è stato ormai interrato, come successe ai navigli milanesi, visto che le magie della tecnologia moderna lo hanno reso obsoleto, quasi inutile.
Tuttavia in questa giornata di sole e neve rivivono anche le fatiche delle famiglie che, generazione dopo generazione, ebbero in carico la manutenzione di ogni singolo metro del prezioso Ru, affinché l’acqua non andasse sprecata; sono qui anche per loro, perché a differenza dei tanti turisti strepitanti all’alpe Métsan, io le ricordo.
Marco
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